venerdì 25 settembre 2009

Vittorio Paliotti

Giornalista, scrittore e commediografo, Vittorio Paliotti può senza alcun dubbio essere considerato, oggi, il maggiore e più noto studioso della storia e del costume di Napoli.
Ecco come si espresse Domenico Rea nel suo ultimo libro dal titolo Pagine su Napoli: "Vittorio Paliotti è ormai uno dei più prestigiosi studiosi della nostra storias patria"

Tra le sue opere di documentazione:
"Storia della canzone napoletana"
(Ricordi, poi Fabbri, oggi Newton Compton),
"Storia della camorra" (Bietti, oggi Newton Compton),
"San Gennaro – storia di un culto" (Rusconi, oggi Bompiani),
"Salone Margherita" (Benincasa, oggi Altrastampa",
"Totò principe del sorriso" (Fiorentino, oggi Pironti), "Proverbi napoletani" (Giunti), ormai dei classici. Inoltre:
"Forcella la casbah di Napoli" (Bideri, oggi Pironti), "Napoli nel cinema" (con E. Grano, Aacst, oggi Marotta e Cafiero),
"La macchietta" (Bideri),
"Napoletani si nasceva" (Fiorentino, oggi Newton Compton),
"Il Vesuvio una storia di fuoco" (Aacst, oggi Marotta e Cafiero),
"La satira a Napoli" (Langella),
"Mi disse Napoli" (Ciessti),
"Paliotti in Campania" (De Mauro),
"Santa Lucia il mare che diventa Napoli" (Aacst, oggi Newton Compton),
"Maria Malibran casta diva scandalosa" (Pagano), "Napoli dopo ‘a nuttata" (Cuzzolin),
"Napoli sconosciuta" (Altrastampa),
"Il Vesuvio con la cipria" (Altrastampa),
"Vacanze dorate" (La Conchiglia),
"Elogio del gatto" (Pironti),
"Capri amori e sospiri" (La Vela),
"Napoli all’aperto" (Stamperia del Valentino) e
"Il paradiso imperfetto" (Treves).

l suoi libri più recenti sono:
"I Misteri di Villa Rosebery"
"L'Italia Chiamò - La canzone nazionale e politica dall'Unità all'ultima guerra" e
"Il romanzo d’avventure – da Robinson Crusoe a Tex Willer".

I suoi libri sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e polacco.
Dalla sua "Storia della camorra" la prima rete Rai ha ricavato uno sceneggiato televisivo in sei puntate.

Fra le sue commedie rappresentate:
"Casa con panorama" tratta dal romanzo omonimo (regia di Giuseppe Di Martino, scenografia di Armando De Stefano, musiche di scena di Roberto De Simone, protagonisti Angela Luce, Ugo D’Alessio e Vittorio Mezzogiorno) e
"Ho sposato la più grande" (regia di Giuseppe Di Martino, protagonisti Luisa Conte e Pietro De Vico). Ha curato, per Bompiani, le opere postume di Giuseppe Marotta "Il teatrino del Pallonetto" e
"Di riffe o di raffe".

Giornalista professionista, ha esordito giovanissimo, a Milano, al "Candido" di Giovannino Guareschi ed è stato poi inviato speciale di "Oggi" ed "Epoca" partecipando alla fondazione di "Gente" con Edilio Rusconi.
Ha condotto importanti rubriche per la Rai e scrive, attualmente, per "Il Mattino".

Vittorio Paliotti ha inoltre pubblicato sei romanzi:
"Casa con panorama" (Rizzoli),
"Spara amore mio" (Bietti),
"Donna di salvataggio" (Rusconi),
"La strada delle maschere" (Vallecchi"),
"La luna fredda" (Pironti) e
"Dentro di me una strega".

I miei libri dedicati a Napoli di Vittorio Paliotti




I miei libri dedicati a Napoli
MA TUTTO INIZIO’ A MILANO

di Vittorio Paliotti

Volevo andare in una città in cui poter trovare quel tipo di lavoro che mi piaceva e, soprattutto, poter lavorare tenendo lontana la suscettibilità degli altri, amici o nemici che fossero.
Dopo che a Napoli mi fu sbattuta l’ultima porta in faccia, scelsi come meta Milano ove già avevo dei piccoli agganci, nel senso che alcuni rotocalchi ospitavano miei articoli spediti alla disperata e che, senza alcun mio mercanteggiare, mi venivano compensati con regolarità e con incredibile generosità. Avevo vent’anni e credevo molto in me stesso e nel mio futuro.

Non mi pesò affatto la notte trascorsa in uno scompartimento di terza classe e appena fui arrivato a Milano un colpo di fulmine mi fece innamorare della tettoia liberty, a forma di galleria, che sovrastava la stazione. Avevo nel portafogli centomila lire vinte con un pilatesco ex aequo a un premio giornalistico, e trascinavo due valigie, l’una piena di maglie maglioni calze camicie, e l’altra colma di libri. Tutti libri ambientati a Napoli, di Giuseppe Marotta in primis, e poi di Carlo Bernari, di Domenico Rea, di Anna Maria Ortese, di Gino Doria.
Certo: avevo deciso di andarmene a Milano, anche per sempre se indispensabile, ma rimanevo fermamente legato a Napoli.

Posai le valigie in un piccolo albergo di piazza Duca d’Aosta, feci una doccia e montai subito su un tram diretto a piazza Carlo Erba. In un palazzo gigantesco, aveva lì la sua sede, di fronte alla fabbrica di biciclette “Bianchi”, la casa editrice Rizzoli. Da qualche tempo, avevo preso a collaborare a uno dei settimanali della Rizzioli, il “Candido” diretto da Giovannino Guareschi. I miei articoli, tutti di ambiente napoletano, erano dedicati, principalmente, alle vecchie canzoni di Piedigrotta.

Giù, al custode, dissi che desideravo parlare col dottor Guareschi.
“Il signor Guareschi è al piano secondo” mi disse l’uomo, indicandomi l’ascensore.
Ancora non si era affacciato il terrorismo, in quegli anni, ancora i dirigenti d’azienda non si sentivano padreterni e dunque si poteva accedere negli uffici senza esibire documenti, senza dimostrare di essere attesi, senza esser costretti a farsi applicare un cartellino con la “V” (visitatore) sul bavero del paltò.
Salii al secondo piano, percorsi un corridoio e mi rivolsi a un usciere che, fumando, se ne stava seduto dietro un minuscolo tavolino.
“Mi vuole annunciare al direttore del Candido?”, chiesi. L’altro diede uno sguardo all’orologio e disse:
“Eh, no. A quest’ora il signor Guareschi è alla macchina da scrivere”. Dovette accorgersi della mia delusione sicché aggiunse prontamente, come se avesse avuto un improvvisa idea:
“Perché non prova col signor Minardi? E’ pur sempre il redattore capo: in fondo a destra”.

La redazione di “Candido”, tre stanze, era accanto a quelle dell’”Oggi”, dell’”Europeo”, di “Annabella”, di “Novella”, di “Bella”, di “Bolero film” e di “Domenica quiz”. Il corridoio, mi accorsi, era a dir poco labirintico, sicché in esso mi smarrii quasi. Vedevo uomini e donne talmente frettolosi da togliermi il coraggio di fermarli; e quando finalmente scorsi un tipo alto e magro che camminava alla napoletana, lo bloccai e, quasi balbettando, gli chiesi di mostrarmi la porta dell’ufficio del signor Minardi. “Venga con me” disse quello e mi condusse, sorridendo, dinanzi alla porta giusta.
“Napoletano?” mi domandò con allegria. Confermai e lui, come per incoraggiarmi:
“Be’, qui non hanno pregiudizi. Io, per esempio, sono russo”.
Seppi dopo che la persona che mi aveva fatto da guida nei corridoi della Rizzoli era realmente di origini russe: si chiamava, o meglio si firmava, Giorgio Scerbanenco ed era destinato alla celebrità come autore di romanzi gialli.

Girai, ansioso, la maniglia della porta del “Candido”.
“Buongiorno” dissi. “Posso?” e pronunciai il mio nome.
Alessandro Minardi era un uomo di poco più di quarant’anni, molto baffuto. Stava in piedi, davanti a un alto tavolo da disegno, per il motivo semplicissimo, seppi dopo, che dovendo anche progettare il menabò, gli toccava lavorare di squadra di riga e di matita. A due passi dal tavolo di Minardi sedeva un altro signore, calvo e baffuto, tutto intento a battere sui tasti di una Olivetti. E mentre Minardi si mosse verso di me sorridendomi e tendendo la mano, l’altro, senza quasi guardarmi disse:
“Buondì”.

“Parliamo a bassa voce” furono le prime parole che mi disse Alessandro Minardi. E spiegò:
“Carlo Manzoni sta scrivendo la nuova puntata delle avventure del Signor Veneranda”.
Il redattore capo mi diede da sedere, ma lui rimaneva ostinatamente in piedi.
“Come mai a Milano?” mi domandò. Gli risposi che ero venuto a Milano per rimanervi e che ero deciso a trovarmi un lavoro in qualche giornale.
“Lei è molto bravo a scrivere articoli, ma chissà se saprà resistere in una redazione”, commentò Minardi.

Ritornò verso il suo tavolo, tracciò delle linee sul foglio lucido che aveva davanti, poi disse:
“Scusi un attimo. Devo dire una cosa a Guareschi”.
Uscì dalla stanza ammiccando. Tornò dopo dieci minuti. “Senta”, mi disse, “proprio ieri ci è venuto meno un redattore. Teodoro Celli è passato al settimanale ‘Oggi’ dove farà anche la critica musicale. Guareschi ha detto che lei andrebbe bene. Se vuole, può rimanere e incominciare anche subito”.

Mi sembrava di star sognando. Carlo Manzoni interruppe il suo lavoro e mi fece un occhiolino di simpatia. Poi mi tese un foglio: mi aveva fatto la caricatura senza che nemmeno io me ne fossi accorto.
“Venga, venga con me”, diceva intanto Minardi.
Mi precedette in un’altra stanza e mi presentò il redattore Giovanni Cavallotti e la segretaria di redazione Rosanna Manca di Villahermosa.
“Lui”, disse Minardi indicandomi,”farà il lavoro che faceva il Celli. Cavallotti, gli spieghi lei in cosa consiste”. Minardi sparì.
Subito dopo, però, la porta si riaprì e fece capolino un uomo di mezza età, contraddistinto da un paio di enormi baffi. Riconobbi subito, in lui, il padre di Don Camillo: era, allora, uno degli scrittori più famosi d’Italia.
“Ho piacere di averla in redazione”, mi disse Giovannino Guareschi. “Sa, mia moglie è un’appassionata lettrice dei suoi articoli sulla canzone napoletana. Se può, non smetta di scriverne”.

Appena il direttore di “Candido” ebbe rinchiusa la porta guardai l’orologio. Non era ancora mezzogiorno, il treno proveniente da Napoli era entrato nella stazione di Milano alle sette e dieci e io sedevo alla scrivania di un grande giornale.

Poi vogliono sapere perché amo tanto Milano. Poi storcono il naso perché sul più recente dei miei trenta libri, quasi tutti di ambiente napoletano, ho fatto stampare una frase blasfema. Sì, blasfema: “Dedico questo libro a una città: Milano. Con affetto filiale”.

Vittorio Paliotti

Bibliografia di Vittorio Paliotti

SAGGI E DOCUMENTAZIONI

2011

I Misteri di Villa Rosebery
Editore: Stamperia del Valentino




Villa Rosebery, luogo dell'immaginario, delizia negata alla città per la sua destinazione istituzionale: sede napoletana del presidente della Repubblica. Quasi mai concessa agli avidi sguardi del pubblico, è stata oggetto solo di rare pubblicazioni e tutte attente alla descrizione fisica dei luoghi.


Questo libro, invece, è tutt'altro: ne descrive la vita che ha ospitato, l'umanità ed i sentimenti dei suoi occupanti, non sempre fortunati, non sempre felici. E ripercorre la storia, quella drammatica, che l'ha segnata: dalla sua edificazione, frutto dei "trenta denari" di un tradimento, che portò alla forca uno dei martiri del '99, l'ammiraglio Francesco Caracciolo, all'abdicazione di Vittorio Emanuele III, alla caduta dello stesso "re di maggio", Umberto II di Savoia, con la conseguente partenza della famiglia reale per l'esilio portoghese.


Un libro a tratti commovente che riscatta con l'umanità le truculente origini di questo mitico seppur negato simbolo della napoletanità.



2011

L'ITALIA CHIAMO'
La canzone nazionale e politica dall'Unità all'ultima guerra
(Franco di Mauro Editore)



150 ANNI DI CANZONI PATRIOTTICHE E POLITICHE


La storia d’Italia può essere raccontata anche attraverso le canzoni. Così come col semplice aiuto delle canzoni è possibile venire a conoscenza delle vicende relative a tutti i partiti politici italiani, da quello comunista a quello socialista, da quello fascista a quello democristiano. In particolare gli eventi che iniziano col Risorgimento e che comprendono la seconda guerra mondiale, dispongono di una vera e propria colonna sonora.

Vittorie ma anche sconfitte, speranze ma anche delusioni, sono state sempre sottolineate, in Italia, da canti che talvolta raggiungono la solennità degli inni. E’ appunto questa eredità culturale, spesso esaltante talvolta scomoda, che viene recuperata nel più recente libro di Vittorio Paliotti dal titolo “L’Italia chiamò – 150 anni di canzoni nazionali e politiche” (Franco Di Mauro editore, pagg. 190 euro 15). Inutile chiarire che il libro, scritto appunto in occasione dei festeggiamenti per il cento cinquantenario dell’unità d’Italia, è appunto un modo, avvincente e appassionante, di ripercorrere le maggiori tappe della storia del nostro Paese.

Agli albori del Risorgimento, per invocare l’unità d’Italia ci si avvalse di brani ricavati dal melodramma, come è il caso di “Va’ pensiero”, ma presto si poté contare su un testo, come “L’inno di Mameli” (oggi adottato dalla Repubblica italiana) il cui autore morì combattendo proprio per l’ideale unitario. Si nutrono poi, gli anni del Risorgimento, di canti di origine popolare quali “Addio mia bella addio” e “La bella Gigogin”. Ma già la Grande Guerra 1915-18, inizialmente caratterizzata da canti creati dai soldati stessi, come “Sul ponte di Bassano”, riceve una benefica scossa da “La leggenda del Piave”, versi e musica di un impiegato postale napoletano, E.A. Mario, già noto come autore dialettale. Versi di questo inno (“Il Piave mormorò: non passa lo straniero!”) servirono alla vittoria italiana, è stato notato, molto più delle strategie di certi generali.

L’indagine condotta con grande accuratezza da Vittorio Paliotti, comprende, per quel che riguarda il primo dopoguerra, canzoni come “Me ne frego”, dei fascisti, “Bandiera rossa” dei socialisti e “Biancofiore” dei popolari (futuri democristiani), l’”Inno dei lavoratori” di Filippo Turati e “L’internazionale”. Poi il regime con “Giovinezza” (che in origine era un canto di studenti che davano l’addio all’università) con “Fischia il sasso”, cantata dai balilla, con “L’inno a Roma” su musica di Giacomo Puccini), e chi più ne ha più ne metta. Quindi l’impresa etiopica con “Faccetta nera” e “Io ti saluto e vado in Abissinia”. E la seconda guerra mondiale con “La sagra di Giarabub”, “Caro papà”, “Camerata Richard”, “La canzone dei sommergibili”. Scritta, quest’ultima, da Guglielmo Giannini futuro capo del partito dell’Uomo Qualunque. Del tutto eccezionale il caso della canzone “Lilì Marlen” che, struggente e malinconica come era, venne tradotta, dal tedesco, in tutte le lingue; la cantavano soldati di eserciti in guerra fra di loro. Si canterà ancora dopo l’8 settembre: “Le donne non ci vogliono più bene” da una parte e “Bella ciao” dall’altra.

In questo libro, che può anche essere richiesto direttamente all’editore Franco di Mauro (tel. 081 662869) Vittorio Paliotti ha, in pratica, narrato la storia d’Italia attraverso le canzoni. “Mai rinnegare la propria storia, non più guerre, però”, sono le parole con cui l’autore dà il via a un’opera che piacerà a chi, anziano, vuol ricordare e a chi, giovane, vuol conoscere.


2008

(ed. Marotta e Cafiero)




Sandokan, il Corsaro Nero, il Capitano Nemo, Achab, ma anche Corto Maltese e Dirk Pitt. Sono solo alcuni dei personaggi che, insieme con i loro autori (Salgari, Verne, Melville, Pratt, Cussler) popolano il più recente libro di Vittorio Paliotti.
Naufragi, abbordaggi di pirati, assalti di pellirosse, esplorazioni in giungle abitate da selvaggi e da belve, escursioni fra i ghiacci dei due Poli, sono gli scenari, l’uno più imprevedibile dell’altro, che rendono i suoi capitoli quanto mai avvincenti.

L’ultimo lavoro di Vittorio Paliotti s’intitola “Il romanzo d’avventure” (Marotta e Cafiero editori, pagg. 238, euro 15,00).
Un titolo che già di per sé è tutto un programma, ma che il sottotitolo rende ancora più esplicito: “da Robinson Crusoe a Tex Willer”.

E’ questa la prima volta, occorre subito di osservare, che viene pubblicata una storia del romanzo d’avventure.
Stranamente, mentre esistono vari studi sul romanzo d’appendice, su quello poliziesco e di fantascienza, sul fumetto e sull’intera gamma di quella che può essere definita “letteratura di evasione” o di “azione”, nessuno si era mai impegnato in un lavoro organico sulla narrativa avventurosa.
Tutt’al più se n’era fatto qualche cenno nei saggi dedicati ai romanzi per ragazzi.

A colmare questa macroscopica lacuna ha provveduto, appunto, col suo più recente libro, Vittorio Paliotti. Con ogni probabilità, gli studiosi avevano avuto difficoltà ad accostare in un’unica opera critica, libri che sono considerati capolavori, come ad esempio quelli di Melville, Conrad, Stevenson o Kipling, a libri ritenuti di “consumo” come quelli, appunto, di Salgari e Verne, di Boussenard e May, per non parlare di London e Burroughs (ideatore, quest’ultimo, di Tarzan).

Ma Vittorio Paliotti ha saputo trovare la strada giusta per superare ogni ostacolo.
In ciò à stato favorito dal fatto che Emilio Salgari, fino a poco fa ritenuto diseducativo e come tale odiato da professori e pedagoghi, è stato recentemente sdoganato dalle università di Torino, di Napoli e di Catania diventando addirittura oggetto di studio e materia di insegnamento. Lo stesso è accaduto per Jules Verne in Francia, dove, in occasione del bicentenario, l’autore di “Ventimila leghe sotto i mari” e di “Il giro del mondo in ottanta giorni”, è stato ufficialmente celebrato a livello accademico.

Nell’originale opera di Vittorio Paliotti sono esaminati anche periodici diventati famosi come “Il giornale illustrato dei viaggi e delle avventure per terra e per mare” o “L’avventuroso”. E perfino i fumetti con personaggi quali l’Uomo Mascherato, Cino e Franco, e Jim della jungla.

In realtà, per poter arrivare a scrivere “Il romanzo d’avventure”, Vittorio Paliotti ha impiegato anni e anni di lavoro, essendosi dovuto spostare nelle biblioteche più lontane e più impensabili, e avendo dovuto esaminare una materia rimasta, al livello culturale, del tutto inesplorata.

Ma il libro che è nato da questa faticosissima ricerca, è un libro che si legge con lo stesso piacere con cui si legge un romanzo d’avventure. C’è sempre un pirata, o un tugh, o un pellerossa in agguato, dietro ogni pagina.

Ma il lieto fine è assicurato.


2007

(Giunti Editore)



2007

(ed. Marotta e Cafiero)



2006

2006
2006





Soldati americani che dipingono cartoline col Vesuvio, pionieri della radio e del cinema, scrittori emergenti o contestati, costruttori di aerei, preti intraprendenti, lazzaroni del re e sognatori del Duce, cuori solitari ma non troppo, pazzi veri e finti, mecenati, magliari: ecco alcuni dei personaggi di questo smagliante libro, composto da storie fondate tutte su una rigorosa documentazione e che rischiavano l'oblio. I più giovani non sempre lo sanno, ma Napoli visse la sua ultima grande stagione di prorompente vitalità fra il 1943 e il 1963. Fu proprio allora che fiorirono iniziative di grande respiro, magari anche un po' strambe, che si collegavano spesso a eventi del passato e che avranno degno sviluppo nel più immediato futuro. "Ha da passa' 'a nuttata", aveva profetizzato Eduardo De Filippo.


2006

Storia della camorra

I riti, le vicende, i protagonisti di una setta che da cinque secoli impone tangenti ai napoletani. Gesta, delitti e amori di capintesta, guappi, mammasantissima e giovanotti onorati.

La camorra visse il suo momento trionfale nel settembre del 1860 quando, durante il passaggio dei poteri tra il governo borbonico e i volontari di Garibaldi, fu incaricata, da un ministro dell’interno, di provvedere al mantenimento dell’ordine
pubblico: fu così che questa setta di estorsori andò al potere creando i presupposti per future azioni politiche. Solo da qualche anno il codice penale italiano ha preso atto dell’esistenza di associazioni a delinquere di tipo camorristico, ma in un contesto riguardante la mafia. In realtà, anche se oggi non c’è tanta differenza tra i due sodalizi criminosi, la camorra ha un proprio specifico e una propria storia che vanno a innestarsi, dal Cinquecento in poi, nel vivo del costume napoletano. In questo libro, opera di uno dei grandi interpreti di Napoli, viene individuata l’origine spagnola della camorra, e precisata la leggendaria etimologia del termine; si seguono le vicende della «Bella Società Riformata » soprattutto nelle sue radici ottocentesche, si dipanano imprese e vicissitudini di «capintesta» e «capintriti». Ci vengono svelati i simboli e le regole di un mondo misterioso: la «Gran Mamma», sorta di tribunale supremo; i riti iniziatici per l’accettazione di nuovi adepti; le «zumpate
» e i «dichiaramenti», ovvero i duelli con cui si risolvevano le controversie. Assistiamo, attraverso le pagine di Vittorio Paliotti, al progressivo imborghesimento della camorra fino a quando, nel primo decennio del Novecento, carabinieri volenterosi
riusciranno a debellare l’organizzazione. Ma nel dopoguerra la camorra risorge: non è più una setta, è una holding che insinua i suoi tentacoli in tutta la Campania. Ieri come oggi camorra è sinonimo di tangente.


2005



2005 (ed. Pironti II ediz.)




A trasformare Forcella, pacifica strada della vecchia Napoli, in un'autentica Casbah, furono gli angloamericani nel dopoguerra. Da sede del più straordinario mercato dell'Europa sconfitta e centro del contrabbando mediterraneo, Forcella divenne poi feudo della camorra. Frutto di attente ricerche, questo libro introduce il lettore in un mondo che ha dell'inverosimile: faccendieri che vengono proclamati re, popolane che fanno figli in serie per sottrarsi al carcere, pirati che comandano navi-fantasma. E, su tutto, l'ombra di una setta secolare. Ma Forcella è anche la strada che, con i suoi traffici, salvò Napoli dalla fame e che ha affascinato personaggi come Sophia Loren e Diego Maradona.


2003

Il Vesuvio con la cipria
(Altrastampa)


2001


Le banconote con la sirena Partenope, la patria del rococò, Salvatore Di Giacomo giornalista per Salgari, il manicomio dei camorristi, Piedigrotta in Parlamento, la dinastia dei Rothschild alla riviera di Chiaia, Buffalo Bill e gli scugnizzi, Rossini prigioniero, il Palazzo Venezia a Spaccanapoli, il vico Femminelle. E poi Padovani il fascista che si oppose a Mussolini, Bordiga il comunista che sfidò Lenin, De Nicola il monarchico che inaugurò la Repubblica. Vicende, aneddoti, personaggi di una città che non finisce mai di stupire in un libro ricco di spunti a volte comici a volte drammatici.


2001

Il Salone Margherita e la Belle Epoque
(ed. Altra Stampa)



1992

In Campania


1977

La Macchietta
(ed.Bideri)




2004

(ed.Newton & Compton)



Le biografie di Antonio Cardarelli, medico, e di Giuseppe Marotta, scrittore, danno avvio a una carrellata di eventi e persone napoletani meritevoli di non essere dimenticati. È il caso di Paola Riccora, autrice di due commedie messe in scena da Eduardo De Filippo; di Salvatore Ragosta autore del testo teatrale che lanciò Raffaele Viviani; di Alberto Della Valle, l'illustratore che diede un volto a Sandokan e agli altri eroi di Emilio Salgari. Il primo giornale italiano con disegni umoristici, inoltre, fu pubblicato a Napoli, come anche il primo rotocalco e i primi fumetti d'Italia. Sempre a Napoli venne impiantata la prima fabbrica di dischi, così come dalla città partenopea si diffusero i primi manifesti a colori.


La Satira a Napoli

2002

(ed.Newton & Compton)



I riti, le vicende, i protagonisti di una setta che da cinque secoli impone tangenti ai napoletani. Gesta, delitti e amori di capintesta, guappi, mammasantissima e giovanotti onorati.

La camorra visse il suo momento trionfale nel settembre del 1860 quando, durante il passaggio dei poteri tra il governo borbonico e i volontari di Garibaldi, fu incaricata, da un ministro dell’interno, di provvedere al mantenimento dell’ordine
pubblico: fu così che questa setta di estorsori andò al potere creando i presupposti per future azioni politiche. Solo da qualche anno il codice penale italiano ha preso atto dell’esistenza di associazioni a delinquere di tipo camorristico, ma in un contesto riguardante la mafia. In realtà, anche se oggi non c’è tanta differenza tra i due sodalizi criminosi, la camorra ha un proprio specifico e una propria storia che vanno a innestarsi, dal Cinquecento in poi, nel vivo del costume napoletano. In questo libro, opera di uno dei grandi interpreti di Napoli, viene individuata l’origine spagnola della camorra, e precisata la leggendaria etimologia del termine; si seguono le vicende della «Bella Società Riformata » soprattutto nelle sue radici ottocentesche, si dipanano imprese e vicissitudini di «capintesta» e «capintriti». Ci vengono svelati i simboli e le regole di un mondo misterioso: la «Gran Mamma», sorta di tribunale supremo; i riti iniziatici per l’accettazione di nuovi adepti; le «zumpate
» e i «dichiaramenti», ovvero i duelli con cui si risolvevano le controversie. Assistiamo, attraverso le pagine di Vittorio Paliotti, al progressivo imborghesimento della camorra fino a quando, nel primo decennio del Novecento, carabinieri volenterosi
riusciranno a debellare l’organizzazione. Ma nel dopoguerra la camorra risorge: non è più una setta, è una holding che insinua i suoi tentacoli in tutta la Campania. Ieri come oggi camorra è sinonimo di tangente.


2001

San Gennaro
(ed. Bompiani)



Oggetto di venerazione e talvolta superstizione, San Gennaro rappresenta certamente un fenomeno culturale e religioso di grande interesse. Patrono di Napoli dal 472 dopo Cristo, il santo ha conosciuto più di mille e cinquecento anni di storia tra alterne vicende. Vittorio Paliotti ricostruisce la storia del culto di San Gennaro, rilevando aspetti che vanno al di là della pura religiosità, fino a svelare molti lati dell'anima di un popolo.


- Mi disse Napoli

2001 - Vacanze dorate (ed. La Conchiglia)

2000 (ed. Tempolungo)



- Santa Lucia il mare che diventa Napoli;

2000 - Storia della Canzone Napoletana (ed.Newton & Compton)



I primi canti popolari, le antiche villanelle, le melodie celebri in tutto il mondo e il sound di oggi rivissuti attraverso i loro autori e i loro interpreti, protagonisti irripetibili delle vicende liete e tristi, incredibili ma vere, di una città che è essa stessa la musica.


1992 -

L'Italia Chiamò

Saggi e Documentazioni



La canzone nazionale e politica dall'Unità all'ultima guerra

(Franco di Mauro Editore - 2011)


150 ANNI DI CANZONI PATRIOTTICHE E POLITICHE


La storia d’Italia può essere raccontata anche attraverso le canzoni. Così come col semplice aiuto delle canzoni è possibile venire a conoscenza delle vicende relative a tutti i partiti politici italiani, da quello comunista a quello socialista, da quello fascista a quello democristiano. In particolare gli eventi che iniziano col Risorgimento e che comprendono la seconda guerra mondiale, dispongono di una vera e propria colonna sonora.

Vittorie ma anche sconfitte, speranze ma anche delusioni, sono state sempre sottolineate, in Italia, da canti che talvolta raggiungono la solennità degli inni. E’ appunto questa eredità culturale, spesso esaltante talvolta scomoda, che viene recuperata nel più recente libro di Vittorio Paliotti dal titolo “L’Italia chiamò – 150 anni di canzoni nazionali e politiche” (Franco Di Mauro editore, pagg. 190 euro 15). Inutile chiarire che il libro, scritto appunto in occasione dei festeggiamenti per il cento cinquantenario dell’unità d’Italia, è appunto un modo, avvincente e appassionante, di ripercorrere le maggiori tappe della storia del nostro Paese.

Agli albori del Risorgimento, per invocare l’unità d’Italia ci si avvalse di brani ricavati dal melodramma, come è il caso di “Va’ pensiero”, ma presto si poté contare su un testo, come “L’inno di Mameli” (oggi adottato dalla Repubblica italiana) il cui autore morì combattendo proprio per l’ideale unitario. Si nutrono poi, gli anni del Risorgimento, di canti di origine popolare quali “Addio mia bella addio” e “La bella Gigogin”. Ma già la Grande Guerra 1915-18, inizialmente caratterizzata da canti creati dai soldati stessi, come “Sul ponte di Bassano”, riceve una benefica scossa da “La leggenda del Piave”, versi e musica di un impiegato postale napoletano, E.A. Mario, già noto come autore dialettale. Versi di questo inno (“Il Piave mormorò: non passa lo straniero!”) servirono alla vittoria italiana, è stato notato, molto più delle strategie di certi generali.

L’indagine condotta con grande accuratezza da Vittorio Paliotti, comprende, per quel che riguarda il primo dopoguerra, canzoni come “Me ne frego”, dei fascisti, “Bandiera rossa” dei socialisti e “Biancofiore” dei popolari (futuri democristiani), l’”Inno dei lavoratori” di Filippo Turati e “L’internazionale”. Poi il regime con “Giovinezza” (che in origine era un canto di studenti che davano l’addio all’università) con “Fischia il sasso”, cantata dai balilla, con “L’inno a Roma” su musica di Giacomo Puccini), e chi più ne ha più ne metta. Quindi l’impresa etiopica con “Faccetta nera” e “Io ti saluto e vado in Abissinia”. E la seconda guerra mondiale con “La sagra di Giarabub”, “Caro papà”, “Camerata Richard”, “La canzone dei sommergibili”. Scritta, quest’ultima, da Guglielmo Giannini futuro capo del partito dell’Uomo Qualunque. Del tutto eccezionale il caso della canzone “Lilì Marlen” che, struggente e malinconica come era, venne tradotta, dal tedesco, in tutte le lingue; la cantavano soldati di eserciti in guerra fra di loro. Si canterà ancora dopo l’8 settembre: “Le donne non ci vogliono più bene” da una parte e “Bella ciao” dall’altra.

In questo libro, che può anche essere richiesto direttamente all’editore Franco di Mauro (tel. 081 662869) Vittorio Paliotti ha, in pratica, narrato la storia d’Italia attraverso le canzoni. “Mai rinnegare la propria storia, non più guerre, però”, sono le parole con cui l’autore dà il via a un’opera che piacerà a chi, anziano, vuol ricordare e a chi, giovane, vuol conoscere.



Articoli su Vittorio Paliotti


Una giornata con Vittorio Paliotti
L’ ALUNNO DEL SOLE
di Aurora Cacopardo


Napoli, piazza dei Martiri, le sette di sera. Da via Carlo Poerio, dopo aver lasciato la frase di un libro che non si fa domare e un personaggio non del tutto compiuto, sbuca Vittorio Paliotti: è l’ora di sfogliare la città. Ogni strada ha avuto il suo narratore: Matilde Serao scendeva per via Chiaia con il suo inconfondibile cappello; Giovanni Ansaldo procedeva a via Chiatamone con passo elegante e occhio nudo¸ Carlo Nazzaro, comprati due pacchetti di nazionali, scrutava i vicoli di Toledo. Piazza dei Martiri, ombelico della Napoli che conta, ha trovato finalmente con Paliotti il suo scrittore, ma soprattutto l’autentico palombaro degli abissi romantici e dei fondali sconosciuti della città.

Mentre gli artisti fuggono da Napoli, per sentirsi meno napoletani e più nazionali, e di tanto in tanto rilasciano interviste colabrodo della seria…”Quanto sei bella, mai più ti rivedrò…”, Vittorio Paliotti, conservatore illuminato tra folgorati progressisti e conservatori di conserva, ha deciso di amare e di odiare Napoli da Napoli.
Nel cuore e nel fegato porta la sua città.
“Due volte sono andato via dalla mia terra: Milano e Roma le destinazioni. Era il tempo in cui lavoravo nei rotocalchi veri, fatti da giornalisti veri. Sono tornato due volte perché chiamato dalla città e da certi affetti”.
Rimanere a Napoli significa attraversare continuamente la sofferenza dell’amore.
“Napoli sa essere amante fantastica e spietata nemica. Città di estrosi e invidiosi; una terra ingrata che non dà mai abbastanza a chi fa qualcosa di buono. Per chi scrive a Napoli, la fase creativa è agevolata da una quantità di fatti, eventi e idee. I guai iniziano con la fase collocativa.
Dopo i piaceri della scrittura, incomincia il lavoro per sistemare ciò che hai scritto. In più s’aggiungono i colleghi o pseudo-colleghi che ti fanno la guerra”.

Dissacratore, implacabile con chi appartiene all’ecosistema del “non pensiero”, dolce con chi ama le storie lontane dei luogocomunismi sulla napoletanità, toccato dal dono longanesiano dello strale arguto e del raro istinto dell’aneddoto, Paliotti trascorre le giornate nella casa di via Carlo Poerio tra il mattutino spoglio dei quotidiani e il furore della scrittura, tra le armate libresche delle sue biblioteche e le corse dei suoi gatti trovatelli.
“Amo i gatti: uno dei dolori più grandi della mia vita è stato la morte di Esposito. Trovai questo gattino in macchina e lo chiamai così, anche se femmina, per un duplice motivo: un omaggio a Napoli e perché era un trovatello. Dopo Esposito ho adottato Miciuzzella e Babà. Miciuzzella ora s’è fatta vecchia e quando ha fame si allunga verso di me fino a darmi un bacio sul mento; e se la fame è proprio tanta, quel bacio si trasforma in un soffice morso datomi con l’unico dente che le è rimasto. Sono Miciuzzella e Babà, adesso, che allietano le mie ore di scrittura e limatura”.

A proposito di limatura, ogni scritto di Paliotti possiede un ritmo narrativo che nasce da un grande lavoro sulla pagina: il tono giocoso, l’ironia ben misurata e la capacità di “pittare” eroi e antieroi costituiscono gli ingredienti vincenti di una pagina allegra e di spessore, leggera e sferzante, sempre “devota” alla semplicità. Oltre al talento, lo scrittore ha bisogno di essere, per dirla alla Flaiano, “rovinato dalle buone letture” e poi deve trovarsi un maestro.
Paliotti ha avuto tutto ciò: letture buone, talento (Proust, Kafka e Celine in pole position) e Giuseppe Marotta. Di quest’ultimo straordinario narratore Paliotti è da considerarsi l’ultimo alunno, l’unico erede, non solo per aver continuato nei suoi scritti ad alimentarne il mito, ma soprattutto per il fatto di aver saputo, nel corso di questi anni, conservare dentro di sé, con devozione e coraggio, lo scrigno delle confessioni marottiane.
Come il maestro, Paliotti prosegue un proprio coerente linguaggio narrativo lontano dai cannibalismi linguistici; si abbandona a un umorismo nobile, riuscendo in tal modo a indagare quella napoletanità grottesca, variopinta, chiassosa, ma sempre pervasa di un’inimitabile e dolceamara umanità; la sua poetica pone in evidenza l’astoricità di Napoli e l’atemporalità di un popolo che, nella sofferta e rassegnata scansione di un presente quasi sempre doloroso, riesce a eternare in una inviolata immobilità la propria durata di esistenza.

Severo censore della letteratura d’oggi, l’occhio letterario dio Paliotti guarda talvolta al passato: dopo Marotta il miglior scrittore che Napoli abbia avuto è stato Guglielmo Pierce:
“Scrittore immenso. Bisogna leggere ‘Pietà per i nostri carnefici’ e ‘Condannati a morte’: libri poderosi, purtroppo poco conosciuti. Pierce era un ultracomunista condannato dal regime fascista ad andare a Ventotene, finì fra i maggiori comunisti d’Italia. In prigionia s’accorse che costoro, che predicavano l’eguaglianza, avevano stabilito delle orrende gerarchie. Preferì scrivere a Mussolini per chiedere di poter essere trasferito. Napoli ha avuto il suo Proust e non se n’è mai accorta”.

Ma Napoli si è accorta di Vittorio Paliotti?
Visti i suoi successi letterari sicuramente sì, eppure crediamo che la critica – zoppicante, come al solito, con chi non appartiene alle parrocchie progressiste – non abbia ancora premiato come si deve questo narratore brillante e internazionale.
Stessa sorte toccò a Marotta che scrisse: “La critica? In genere mi tiene il broncio come se io l’avessi in qualche indimenticabile modo offesa. Al diavolo. Per me un’oncia di salute e di pace vale più di una tonnellata di alti riconoscimenti. I miei romanzi troveranno il posto cui hanno diritto. E non sarà il silenzio di alcuni criticoni a levarglielo…”.

Piazza dei Martiri, sette di sera, Vittorio Paliotti sbuca da via Carlo Poerio. Il solito fermento: Napoli sfogliata, Napoli ingrata, Napoli accattona, Napoli amata. L’ultimo alunno del sole trattiene nel cuore le parole del maestro.


Vittorio Paliotti e il costume napoletano
una intervista di Anita Curci

Volendo tracciare un quadro critico artistico e culturale della nostra città negli ultimi cinquant'anni, quali sono gli aspetti più significativi e, dove ritiene ci si sta dirigendo?
Napoli è molto mutata. Il suo patrimonio viene giorno per giorno rinnegato, andiamo verso la globalizzazione. Ci troviamo al punto che non esistono caratteristiche locali, ma omogeneizzazione. Uno scrittore si troverà a scrivere storie che possono accadere a Napoli e ovunque.

Che cosa colpisce la sensibilità di Vittorio Paliotti e lo ispira nell'approfondimento di un determinato argomento?
Quelli che approfondisco sono gli argomenti poco trattati, o comunque trattati in maniera disordinata. Non esisteva una storia organica sul culto di San Gennaro, così ho avvertito l'esigenza di scrivere "San Gennaro – Storia di un culto, di un mito, dell'anima di un popolo", per esempio. Per quel che riguarda la saggistica, di solito ho la presunzione di affrontare tematiche poco ripercorse, appunto, per scoprire o mettere in ordine; tirando fuori storie che rischierebbero di essere dimenticate totalmente. Per la narrativa, attingo a vicende capitate a conoscenti o, in genere, vissute personalmente. L'importante è raccontare un fatto vero. Anche un romanzo di fantascienza serio e non scritto per pura evasione, diventa una metafora per poter narrare qualcosa di reale, una storia vera. Scrivendo si recuperano particolari. O, quantomeno, ci s'illude di recuperarli.

Si sta dedicando ad un progetto artistico o letterario?
Sta per uscire un nuovo libro: "Festa sui muri". Dove racconto una Napoli degli anni Cinquanta nel periodo delle elezioni. E' la storia di un candidato politico, ma è anche un disegno di ciò che erano i meccanismi elettorali prima che la tv prendesse il sopravvento. In passato s'organizzavano cortei, manifestazioni, si annunciavano notizie attraverso i manifesti sui muri. Protagonista è appunto un candidato alle elezioni nazionali, un uomo puro che si trova a lottare tra persone interessate e accanite sul loro tornaconto personale.

Ha scritto anche memorabili commedie. Che opinione ha Paliotti del teatro odierno?
Si, ho scritto commedie, tra queste "Casa con panorama". Oggi il teatro è diventato un elemento di lottizzazione politica. Fino ad alcuni anni fa si faceva a spese delle compagnie, dei capocomici; oggi si fa con le sovvenzioni, ed è diventato una fonte, per non dire una risorsa elettorale.


Romanzi di Vittorio Paliotti

ROMANZI


2007(ed. Pironti)




Susanna, una strega vissuta nel Seicento e morta sul rogo, compare a Marisa, giovane e bellissima esponente della buona società, durante una seduta spiritica fatta per scherzo. Marisa, che fino a quel momento si è s

entita perfettamente realizzata come moglie e come madre, viene accusata da Susanna di non aver mai assaporato i veri piaceri che l'amore può dare, a patto che, infrangendo le regole convenzionali, si vinca ogni inibizione. Ed è proprio questa esperienza che, incalzata da strane coincidenze, accetta di compiere Marisa, convinta che la strega Susanna si sia incarnata nel suo corpo, fino a identificarsi con lei. Una irrequieta Napoli, popolata fra l'altro da scaltri politici, da ingenui sognatori e perfino da terroristi, fa da sfondo a una vicenda dal finale al cardiopalmo.


2007(ed. Vele Bianche)



Anni Cinquanta: Capri rifulge di una nuova verve. Oltre ai fasti del paesaggio uno scenario nuovo si disegna nell'isola più bella del mondo. Arrivano personaggi eccentrici e stranieri, nascono storie e fenomeni di costume e società. Il centro di un certo mondo è qui e gli inviati speciali sbarcano sull'isola per raccontarlo. È la stampa, bellezza! Tra loro Vittorio Paliotti che su Capri posa uno sguardo sensibile e attento e racconta eventi inediti, retroscena capresi suggestivi e inaspettati.
Ci saranno tante storie: quella di un poeta che scrive una canzone per compiacere un rè spodestato; un marchese dalmata che guidato da un rabdomante trivella il suolo alla ricerca di una vena d'acqua; un ballerino muto arrestato perché ritenuto erroneamente spia.
Ma soprattutto c'è la Capri romantica che racconta la storia di una giornalista americana che sposa un barman, una turista tedesca che si unisce in matrimonio con un avvocato e lo convince a diventare un giornalaio, o un barcaiolo che diventa il favorito di un nipote dello zar. Amori e sospiri di una Capri mitica e indimenticabile


1995

1988 - La Strada delle Maschere

ù

1978 - Donna di salvataggio

1974 - Spara, amore mio (ed.Bietti)

1964 - Casa con Panorama

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